Il Professor Massimo Biondi, Direttore del Dipartimento di Scienze psichiatriche dell'Università "La Sapienza" di Roma, ci descrive come negli ultimi tempi si è assistito ad un progressivo mutare delle forme e frequenze dei disturbi psicopatologici.
Qual'è l'impatto che il cambiamento della società ha avuto sulle strutture psichiche e sulla sofferenza mentale?
La famiglia è cambiata. Il genitore non è più una figura autoritaria. Le vecchie patologie presenti nell'Ottocento e nei primi del Novecento sembrano somparse come l'isteria.
Sono presenti nuove forme (Anoressia, Disturbo da ansia sociale, Disturbo di panico, Disturbi dell'umore nei bambini e negli adolescenti, Disturbo da deficit dell'attenzione e iperattività).
Altro aspetto interessante è che alcuni comportamenti un tempo considerati patologici non rientrano più nell'elenco dei disturbi mentali come è stato per l'omosessualità. Comportamenti sessuali un tempo definiti perversi possono oggi far parte della sessualità normale.
Un altro esempio è dato dalla depressione la quale è più che triplicata nel secondo dopoguerra ed è destinata a diventare una delle patologie più importanti insieme a malattie cardiovascolari e tumori.
Sembra però mutata la sofferenza depressiva. Un tempo era centrata su vissuti di colpa, riduzione dell'autostima, sintomi fisici (riduzione della spinta vitale, alterazione dei ritmi circadiani, perdita di peso e appetito).
Oggi si parla perlopiù di fatica, scontentezza, inadeguatezza, senso di vuoto, piuttosto che di una vera riduzione della spinta vitale e dell'umore.
Biondi fa un'attenta analisi e la sua ipotesi è che ciò può essere legato alla standardizzazione dei ruoli e alle abilità necessarie per il lavoro altamente specializzato. La necessità di adattarsi ad un "tempo" definito in minuti e secondi unico per tutti. Si è ridotto di importanza il tempo "soggettivo" basato su ritmi naturali di luce e buio, ritmo dell'organizzazione del lavoro basato sul senso di energia e stanchezza.
Biondi prosegue nella sua analisi mettendo in risalto l'importanza sul piano della sofferenza psichica dell'urbanizzazione e del sovraffollamento delle città, della temporizzazione di riposo e vacanze, della percezione che un lavoro è accettato solo se "realizza", degli sforzi in molte attività lavorative competitive, oltre poi alle prestazioni in ruoli privati (amore, sesso, famiglia) e nel riposo (vacanze, sport, acquisti, casa, tempo libero).
Questa considerazioni di Biondi è estremamente interessante. Siamo ormai abituati a pensare che non dobbiamo fermarci. Se ci fermiamo ci sentiamo irrealizzati. Occorre lavorare per poter vivere. E' questo è normale. Però bisogna andare in palestra, bisogna andare in vacanza, bisogna uscire, bisogna.... Ma sono reali bisogni? Quanto di ciò che facciamo è realmente ciò che vogliamo o perchè così fan tutti?
E se imparassimo a godere di un pò di sano ozio? Il classico dolce far niente. Pensateci. Ne parleremo eventualmente in un prossimo post.
Biondi mette in evidenza che è sorprendente come l'allungarsi dell'età media, del benessere materiale e il miglioramento della qualità di vita non vanno automaticamente di pari passo con il senso di benessere psichico e di serenità.
Le conclusioni sono certamente complesse. Biondi sostiene che un punto di riferimento fondamentale resto il concetto di "disagio della civiltà" di Freud, che affermava che il costo psichico di questa società è maggiore di quelle precedenti.
Cioè questa società offre all'uomo moderno maggiore sicurezza a costo però di maggiori problemi psichici dovuti all'esigenza di adattarsi ad una struttura sociale più complessa.
Aumentando quindi gli standard e le regole aumenta anche il numero di persone che non vi stanno dentro o che hanno difficoltà ad adeguarvisi.
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